Dopo che il treenne è diventato un ciclista provetto in tre giorni (per la mamma è portatissimo), non vedo l’ora di uscire dal giardino domestico. Lo so, siamo solo nella fase “pedalo guardano la strada accelerando senza frenare”. Schiantarsi contro il muro è un attimo… ma, come dice qualcuno, non è tanto come cadi ma come ti rialzi. E modestamente il treenne si rialza con una certa dignità: piangendo a squarciagola. Non tanto per il dolore fisico (ancora nessuna cicatrice) quanto per lo spavento. Solo, in caduta libera. Allora sì, anche lui, il treenne impavido, quello che chiama la mamma solo per urgenze extra gioco, si trasforma nel piccolo bisognoso di rassicurazione. Per la felicità della mamma.
Vuoi risalire? Sei tutto intero, non è successo niente…
Nooooo, mamma altro gioco!
Madddaiiii non ti sei fatto niente, sei un’ometto coraggioso…
Però vado piano…
La verità è che una volta in sella, capito il funzionamento dei pedali, l’adrenalina gli è andata in circolo ai mille. Troppa l’euforia, troppa la voglia di capire come girano quelle dannate ruote rosse. Troppa la voglia di accelerare per vedere il paesaggio che corre insieme. Ma perché? Come? Il mondo cambia e da quel metro sopra terra ogni sguardo è più attento ma anche più distratto da quelle ruote che girano. Girano, girano, girano.
Mamma perché girano?
Perché tu pedali… e le fai girare.
Ah!
E se non pedalo?
Non girano.
Mamma guarda come vado senza mani???
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