La mia stagione estiva qui è iniziata già da diverse settimane. Cambio armadio, cambio giochini e cambio percorso mattutino, rigorosamente direzione mare. Rigorosamente in bici. Sperando che il caldo tardi ad arrivare. Perché pedalare sotto il sole cocente (già alle otto del mattino) con un carico di quindici chili dietro, paletta e secchiello sul manubrio a destra, borsa mare a sinistra, borsa bimbo nel cestino anteriore è un’impresa eroica. Altro che l’equilibrista del circo Orfei che si allena ore ed ore e viene pure pagato. Qui non c’è pietà. Una volta che il carico così come descritto si avvia sulla strada è impossibile arrestarlo.
Fermarsi a salutare l’amica incontrata per caso? Neanche a parlarne.
Fermarsi al semaforo? Se non fosse obbligatorio l’avrei attraversato come un cavallo bendato sperando nel buon cuore degli automobilisti.
Fermarsi a fare la spesa? Sì certo. Lo faccio, non crediate sia impossibile, ma ci vogliono solo venti minuti per smontare il carico, mettermelo in spalla, entrare nel market, acchiappare un altro mini carrello della spesa e chiedere scusa ogni venti secondi per le mie continue spallate alle gente. Da provare. Ah, scusate… nel frattempo il treenne si è fermato al banco frigo.
Ma non è questo il punto. Se l’andata è accompagnata dall’idea di farsi un bagno, il ritorno è avvilente. Sporchi di sabbia, sudati, puzzolenti e con quaranta gradi all’ombra. E meno male che ritorniamo alle undici… . A casa, poi, mi trasformo in una macchina da guerra per affrontare di petto la fase post-spiaggia. In sintesi: sabbia nelle mutande, bagnetto che si trasforma in un lago, pranzo con la mano destra mentre con la sinistra stendo i costumi bagnati. E le chiamano vacanze….